giovedì 16 ottobre 2014

È soltanto l'ignoranza a creare altra ignoranza?

Sono solito pubblicare in questo antro articoli riguardanti fumetti, serie animate e film d'animazione nello specifico, eppure ho sempre diffidato dal rendere pubblica la mia opinione riguardante la settima, ottava, nona arte e i vari risvolti che esse hanno sulla popolazione e sulla cultura globale, non tanto per disinteresse o per arroganza quanto per la paura di non essere all'altezza dell'argomento.
Un tema di questo tipo non può essere trattato con superficialità, si finirebbe solamente per cadere in orribili luoghi comuni dalla dubbia veridicità e il discorso si evolverebbe solo a colpi di flame (specialmente sul web si sa). Ispirato quindi dall'articolo di un altro blogger che si chiedeva perchè la gente "legga sempre gli stessi fumetti" e in particolare i "soliti 4 titoli mainstream" vorrei spiegare qual è la mia visione d'insieme del mondo dell'intrattenimento, per essere più chiaro utilizzerò dei riferimenti al mondo di anime e manga poichè è l'argomento di cui sono più informato e di conseguenza mi trovo più a mio agio nel trattarlo.
Indubbiamente vi è una maggioranza di persone tra i lettori di fumetti che ha un parco culturale limitato e spesso e volentieri legge esclusivamente pochi titoli molto famosi e si accontenta di ciò perchè convinto che questi siano i migliori; ciò è dovuto più che alla qualità delle opere in sé quanto all'ignoranza dell'individuo che, non avendo letto nient'altro non può creare un proprio metro di confronto e sviluppare quindi un gusto e uno spirito critico. Ma la colpa è soltanto del soggetto? È sicuro che sia l'unico individuo da ricercare in questa generale mancanza di cultura? Prima di tutto è bene precisare che se non si conosce una certa cosa, non si potrà mai conoscerla se non tramite l'intervento di un agente esterno, per esempio la pubblicità: quel fenomeno che interrompe ogni programma sul più bello, quel cartellone che rovina il paesaggio, e che ha lo scopo di invogliarti a spendere i tuoi soldi in fondo è anche una sorta di "mezzo di informazione"; e se la pubblicità ci infarcisce di One Piece non ci si può certo meravigliare del fatto che sia il manga più venduto al mondo. In una società come la nostra dove in ogni momento veniamo bombardati da informazioni, in cui la rete ha avuto ormai una diffusione globale e si può comunicare con chiunque, indifferentemente dalla distanza fisica credo che pretendere di lasciare la gente in balia di se stessa sia quantomeno un ragionamento arbitrario ed egoistico.
Parallelamente alla figura dell'intellettuale proposta da Francesco Petrarca, che vedeva l'uomo di cultura come un individuo slegato da pensieri politici e che si adoperava per il bene comune, sì può sostenere come anche in un ambito come quello degli anime e manga gli appassionati più esperti abbiano l'obbligo morale di ampliare la cultura dei più giovani o immaturi. Qui il nostro novellino assume però una valenza ambigua, se da una parte è vittima dell'indifferenza degli "intellettuali" dall'altra non possiamo negare la sua colpa del non voler accettare consigli e del non riconoscere l'esperto come tale. Capita spesso che, forti delle loro convinzioni, i novellini rifiutino a priori certi suggerimenti tra assurde scuse o, se il contesto è dai toni più accesi, insulti.
"Seicento anni son passati e non avete ancora capito niente."

Non meno grave è però il comportamento di alcuni, che pur avendo già maturato un proprio spirito critico, si ritrovano ad arrogarsi il titolo di "esperto" e, con superbia, ad additare chiunque con disprezzo facendo sfoggio della propria "cultura", che risulta quindi fine a sé stessa, non elevando l'individuo e minando le basi per una convivenza serena e un utile scambio di informazioni.
D'altro canto esistono anche individui che, favoreggiati dal proprio carisma, sfruttano l'immaturità altrui, suggerendo più che un titolo in particolare, il proprio punto di vista esibendolo su di un piedistallo e avvantaggiandosi in modo subdolo. Un comportamento davvero pericoloso perchè mira a diffondere la propria immagine più che la cultura e, come possiamo notare guardandoci intorno, creare una schiera pressoché infinita di percorelle, o meglio "cani da caccia", pronti ad attaccare chiunque sia contrario al loro credo, indipendentemente dalle argomentazioni offerte.
Trovare una soluzione ad una situazione del genere è sicuramente difficile ma, può sicuramente aiutare ad uno sviluppo in positivo, l'aiuto reciproco delle due parti, i lettori più colti non devono avere il ruolo di imporre le proprie idee bensì quello di fornire le basi a quelli più giovani e a questi ultimi è caldamente consigliato di cercare sempre il confronto, che gioverà ad entrambe le parti; evitare le liti è impossibile ma cercarle è un comportamento deplorevole soprattutto se si sta discutendo di una passione comune. Infine voglio ricordare che, come disse il famoso filosofo greco Socrate: "l'intelligenza ci rende liberi, l'ignoranza ci rende schiavi".

venerdì 31 gennaio 2014

Una Lettera per Momo


Come potrete dedurre, sono un "discreto" appassionato dei manga di Masamune Shirow, l'approccio alle sue opere però è stato ovviamente una conseguenza della visione del rinomato film d'animazione "Ghost in the Shell" di Mamoru Oshii. La voglia di approfondire questo regista di indubbia bravura mi ha portato a conoscerne un altro, estremamente bravo: Hiroyuki Okiura.
Animatore chiave e supervisore delle animazioni per molte opere importanti quali: Akira, Patlabor: The Movie, Record of Lodoss War, Paprika, o il più recente Evangelion 3.0: You can (not) Redo debutta come regista nel 1999 con Jin-Roh: Uomini e Lupi e, nel 2011, dopo sette anni di lavorazioni ritorna con un'opera originale, un dramma a stampo familiare: Una Lettera per Momo.
Momo Miyaura è una ragazzina di undici anni, trasferitasi con la madre Ikuko sull'isola di Shio in seguito alla morte del padre in un incidente navale, è timida e in un primo momento non riesce ad ambientarsi nella nuova casa ma tutto cambia quando inizia a sentire delle voci provenire dalla soffitta. Quando Iwa, Kawa e Mame si rivelano a lei la paura prende il sopravvento e scappare sembra l'unica soluzione ma presto realizzerà che i tre demoni non sono poi così temibili.
Sebbene l'incipit della storia sia poco pretenzioso, Okiura riesce a introdurre con semplicità il tema del lutto familiare, in modo molto intimo la piccola Momo dovrà infatti affrontare la mancanza del padre, trovandosi a dover fare da "badante" a questi demoni scalmanati, le peripezie passano però presto a temi più seri e malinconici, come il rimorso e il senso di colpa fino a giungere al climax che ricorda un po' lo svolgimento di "Summer Wars" del talentuoso Mamoru Hosoda.
Ciò che però colpisce di più sono sicuramente le eccellenti animazioni, frutto di anni di lavoro, che puntano la loro unicità sul realismo e la fluidità dei movimenti, senza l'utilizzo di tecniche come il rotoscopio (reso ultimamente celebre dalla serie animata "Aku no Hana") o il motion capture. Esse si distinguono proprio per la cura maniacale dei più piccoli gesti che, senza venir esaltati all'inverosimile (come nella maggior parte delle animazioni recenti) donano allo spettatore la sensazione di far parte del lungometraggio. Altra menzione va all'ambientazione, ci troviamo infatti su un'isola inesistente nel nostro mondo ma che, come consuetudine, contiene parecchi elementi di ambienti reali che in questo caso si riferiscono in particolare all'isola Osaki Shimojima e altre località nella prefettura di Hiroshima, luogo molto caro al regista. L'attenta ricerca del realismo va però a scontrarsi con l'elemento puramente fantastico rappresentato dai tre Guardiani, creati basandosi sugli Yokai, creature tradizionali del Giappone che risalgono al periodo Edo. Questi personaggi che servono principalmente a spezzare la malinconia della narrazione, celano però un segreto importante che si rivelerà fondamentale per la crescita di Momo stessa; ognuno di essi ha una personalità propria sebbene leggermente stereotipata.


In conclusione "Momo e no Tegami" è un lavoro eccellente che affronta tematiche sempre attuali, un'opera dolce che sa far emozionare con discrezione e tatto grazie anche ad un ottimo comparto musicale ad opera di Mina Kubota (Aria, GeGeGe no Nyobo) e Yuko Hara.


sabato 5 ottobre 2013

Ergo Proxy, qual è il confine tra comprensione ed interpretazione?


 Come per molte opere d'arte/intrattenimento, esistono anime che possiedono molteplici livelli interpretativi e paradossalmente alcuni, risultano più facili da comprendere ad un livello di interpretazione più elevato. Alcuni esempi possono essere serie animate come Neon Genesis Evangelion o film d'animazione come Tenshi no Tamago in cui le informazioni che vengono date in modo diretto - ovvero tramite dialoghi o scene di facile intuizione - sono rese molto criptiche e il materiale viene lesinato a dovere tanto da ostacolare volutamente lo scorrere della trama vera e propria facendo però emergere il livello di interpretazione più astratto e concettuale.
Ed è anche il metodo scelto dal regista Shukō Murase quando diresse Ergo Proxy, andato in onda nel lontano 2006 sulla rete internazionale WOWOW e in Italia, dopo essere stata acquistata da Panini Video che ne rilasciò i DVD (ormai irreperibili), trasmessa su Rai 4 ben 5 anni più tardi.
L'opera è ambientata in un futuro imprecisato, non si sa bene come ma in seguito alla ricerca da parte degli esseri umani di nuove fonti di energia, gli strati di metano presenti nell'atmosfera terrestre sono ceduti, coprendo il pianeta con una nube tossica letale. I pochi sopravvissuti si rifugiarono quindi in delle città cupola sigillate chiamate Dome in cui, grazie all'aiuto di una serie di androidi (Autoreiv) tutta la loro vita viene organizzata e meccanizzata (perfino il concepimento avviene tramite uteri artificiali) allo scopo di preservare la stirpe fino a quando il pericolo non si sarà dissolto. Durante la serie vivremo l'avventura alternativamente attraverso gli occhi dei tre protagonisti: l'immigrato Vincent Law; la nipote del reggente nonché ispettrice Re-L Mayer e la piccola autoreiv da compagnia Pino; con un particolar riguardo verso il primo. Il Dome in cui vivono sarà messo in subbuglio da una lenta rivoluzione degli Autoreiv che contrarranno il "Cogito" un virus che li farà prendere coscienza di loro stessi e contemporaneamente da una strana creatura, denominata "Proxy", che si libererà dal laboratorio in cui era tenuta.  Il termine "vivere" non l'ho messo a caso perchè per l'appunto ogni episodio sarà strutturato su una focalizzazione 0 di uno dei personaggi citati, in modo che lo spettatore ne conosca gli aspetti più reconditi della sua psiche, con una notevole mole di dialoghi, a volte ridondanti, a supportare il tutto. Il tema centrale affrontato dall'impavido Shukō Murase si potrebbe riassumere nel solipsismo, ovvero la filosofia per il quale ogni cosa che percepiamo è prodotta dalla nostra coscienza, tutto il creato è quindi in bilico tra l'esistere e il non esistere e nulla è certo a parte il nostro Io, "penso quindi sono" è il concetto (ripreso anche in altre opere dallo stampo Cyberpunk/Post-Cyberpunk quali Ghost in the Shell o la trilogia di Matrix) ma cosa succede quando pure il nostro Io è incerto? Se non sappiamo chi siamo, come possiamo determinare ciò che ci circonda? Seguendo questo ragionamento ci si ritrova quindi in episodi come "Ophelia" (che tra l'altro, è una citazione), per poi passare a situazioni al limite dello sperimentale come in "Who wants to be on Jeopardy" in cui i personaggi si ritroveranno in uno strano quiz televisivo in cui ci si gioca la vita. 
Se i primi episodi risultano essere realistici e puntati sullo stile del "thriller poliziesco" si rimane di certo sorpresi a vedere un così repentino cambio di rotta ma ciò non deve preoccuparci perchè alla fine, con un po' di attenzione, ogni tassello troverà il proprio posto. In aggiunta, molti episodi introspettivi sono introdotti in una maniera particolare, ci troveremo a chiederci se ci siamo persi qualcosa, perchè rispetto al loro precedente non sembreranno per niente collegati, complice una regia strutturata in maniera tale da far rimanere lo spettatore perennemente con il dubbio che ciò che sta guardando sia un sogno o meno. Un dubbio differente da quello che si trova nei film di Kon (dato che si parla di sogni è un dovere citarlo) dato dal contrasto tra le situazioni diametricalmente opposte piuttosto che una armonia tra immaginazione e percezione (come accade in Millennium Actress per esempio).  Accompagnato da una colonna sonora che predilige i suoni elettronici e disturbati, da dei fondali desertici e cupi o di città estremamente tecnologiche e fredde, e da un chara design realistico Ergo Proxy è sicuramente un prodotto che sa quello che sta offrendo, e a livello tecnico non si smentisce, con un comparto di animazioni che da il suo massimo nelle espressioni facciali e non sfigura affatto neanche nelle scene più concitate. In conclusione non si può certo affermare che quest'opera abbia un target ampio, molti si arrenderanno dopo pochi episodi oppure prenderanno atto di non averci capito niente, bisogna però ricordarsi che capire i risvolti narrativi di una storia, non sempre è importante quanto interpretarne il messaggio.



venerdì 9 agosto 2013

"Appleseed" di Masamune Shirow


Nel mio primo post su questo blog avevo accennato quali fossero le mie opere preferite con uno schema abbastanza idiota fatto in cinque minuti, solo ora però, mi accorgo di quanto quello schema sia pieno di imperfezioni, un po' perché non distinguo tra fumetti e prodotti d'animazione e un po' perché non sono ancora capace a capire tutto ciò che leggo o vedo, almeno la prima volta. Testimone di questa mia negligenza è un fatto accaduto di recente tra le pareti della mia camera cui vede come protagonista me e le pagine di un manga abbastanza sconosciuto, sebbene sia stato creato da uno degli autori più rinomati da almeno vent'anni a questa parte. Rileggendo tale Appleseed a distanza di un paio d'anni da quando lo comprai (ah a proposito, l'edizione italiana D/Books è favolosa, con quasi 10 euro a volume vi portate a casa degli albi in un formato 176x250 con pagine a colori, sovraccoperta metallizzata e un miniposter all'interno) mi sono infatti reso conto di quanto, la prima volta, l'avessi letto male, nel senso che non avevo la minima idea di come approcciarmi a questo titolo.


Per chi di voi non lo conoscesse, Appleseed è un manga di Masamune Shirow (autore di Ghost in the Shell, Orion ecc.) pubblicato per Seishinsha nel lontano 1985; la trama, dipanata in quattro corposi volumi, si svolge in un ipotetico XXII secolo, in seguito ad altri due conflitti mondiali (uno nucleare e successivamente uno convenzionale) il pianeta subisce gravi ferite a causa delle radiazioni  e dell'utilizzo di armi biochimiche (e di un meteorite che annienta gran parte della Cina) ma la popolazione umana, riunitasi in nuove comunità si appresta a ricostruire, grazie anche allo sviluppo tecnologico immenso dovuto al periodo bellico. Una delle sedi principali di questa "ricostruzione" è l'isola di Olympus, il perfetto esempio di una città futuristica: sfarzosa, tecnologica, efficiente, ogni cittadino viene trattato in egual modo e non esiste povertà. È qui che entrano in gioco i nostri due protagonisti, la ventenne Deunan Knute e il compagno cyborg Briareos: ex membri della SWAT americana i due vagano nei territori ancora devastati dal conflitto, sopravvivendo alla bell'e meglio e mangiando sempre quella maledetta Bouillabaisse, almeno fino a quando non incontrano Hitomi, una ragazza venuta a prelevarli per conto della stessa Olympus. I due, ritrovatisi in questo luogo così poco familiare non possono far altro che entrare nella forza di polizia locale, e, grazie al loro istinto e alla loro perspicacia (soprattutto quella dell'Hecatoncheire devo dire) scopriranno che anche in un utopia come quella, non è proprio tutto "rose e fiori".
Avrei potuto stringare di più la trama ma se l'avessi fatto non sarei poi riuscito a farvi capire la complessità di questo fumetto, infatti molte delle informazioni che ho citato non sono contenute nelle vignette ma, come di consuetudine per il maestro Shirow, in apposite note poste a piè di pagina, a conclusione del volume o addirittura in un volume separato chiamato "Appleseed Data Book". So già che molti di voi storceranno il naso per via di questa scelta narrativa, tuttavia il "seme di mela" è molto di più di una semplice accozzaglia di informazioni bensì un quadro dettagliato del pensiero che l'autore ha rispetto al mondo, alla società e all'essere umano. Durante la lettura, se fatta con attenzione, i quesiti, le riflessioni su questi temi sorgeranno spontanei, e soprattutto grazie all'utilizzo di termini ricercati, spesso con più significati come per esempio "olone", l'espressione con cui Shirow si riferisce agli uomini, cui richiama appunto la teoria dei sistemi non lineari; inoltre farcisce le vignette con battute a sfondo scientifico, alle volte comprensibili ma spesso talmente complicate che ci si domanda come facciano i personaggi a scherzarci su, un po' come l'humour nero, il che delinea marcatamente il carattere dei personaggi dai protagonisti fino alle comparse (ma questo dettaglio si vedrà meglio nel 1995 con Dominion Conflict One) rendendo ognuno potenzialmente memorabile.
Molteplici sono, inoltre, i riferimenti alla mitologia greca, sì potrebbe addirittura sostenere, dopo aver letto il secondo albo, che il racconto stesso sia basato su di essa, e va dal più inutile tecnico delle comunicazioni, Hermes, chiamato in causa in una vignetta al più importante elemento di Olympus, il super-computer Gaia, addetto al controllo di tutta l'isola.
Gaia
 L'autore spazia inoltre anche su concetti filosofici come il determinismo, l'indeterminismo e cerca uno scopo fondamentale della razza umana. Tramite il progetto Elpis spiega infatti, senza molti giri di parole, l'apice della nostra civiltà, l'evoluzione auto-controllata tramite i bioroidi - cloni riprogrammati geneticamente al fine di mantenere la pace ed essere di aiuto agli individui "originali" - diventa quindi una scelta quasi obbligata per mantenere l'equilibrio con il mondo, ma esso rimane comunque un progetto limitato e incerto cui gli stessi protagonisti non vedono di buon occhio. Vorrei dilungarmi di più su questo argomento (come per esempio scrivendo che a discapito di questa descrizione, l'interpretazione può non essere così fredda e macchinosa, siamo umani dopotutto!) ma vi priverei del piacere della scoperta, quindi - a costo di rompere la continuità di questo monologo - ora tratterò della parte più "pratica" di questo fumetto, ossia tutto ciò che riguarda la parte grafica, disegno, vignette e via dicendo.
Masanori Ota (il suo vero nome, Masamune è uno pseudonimo ispirato ad un famoso armaiolo giapponese) ha un tratto davvero particolare, se infatti confrontiamo qualche sua opera possiamo subito adocchiare la sua cura maniacale per ogni elemento meccanico, i cui particolari ricordano in qualche modo le rotondità di Metal Slug (anche se sarebbe meglio affermare il contrario), e facente parte di equipaggiamento militare, e sfondi cui possono accostarsi a quelli dell'acclamato Akira. Subito dopo vengono i personaggi, che vanno distinti tra "tutti" e "protagonista", poiché se dalla prima parte troviamo una diversificazione impressionante anche a livello fisionomico, che contribuisce a renderli riconoscibili all'istante, le protagoniste di tutti i manga di Shirow sono somaticamente uguali, come altri disegnatori (per esempio Boichi) sembra che abbia una sorta di preferenza per uno stile classico anni '80, con occhi grandi, ciglia lunghe e capelli corti e voluminosi, tratto in comune è anche il loro carattere da maschiaccio che le fa avere una predominanza su tutta l'opera. Per quanto riguarda le vignette hanno un'andatura abbastanza classica, ben curata e con delle ottime inquadrature, a parte in rari casi, in cui, data la presenza di numerosi elementi, non si riesce bene a capire la situazione, nonostante ciò posso assicurarvi che avrete molto tempo a disposizione per capire tali inquadrature. Inoltre va precisato che lo stile organizzativo delle tavole si rifà molto alla cinematografia, favorendo in tal modo (e lo si nota particolarmente nel volume quattro) le scene d'azione, molto dinamiche e variegate, che danno il loro meglio nei combattimenti corpo a corpo dove spiccano le coreografie di Deunan o la forza bruta di Briareos.
In conclusione Appleseed si presenta come un prodotto poliedrico, infatti eccellendo sia in sceneggiatura, in qualità grafiche, sia nella profondità dei temi trattati, può essere godibile su diversi livelli di lettura, considerando inoltre che Shirow passa da passi filosofici a episodi totalmente incentrati sulla fantapolitica. Nonostante ciò il mio consiglio è di armarvi di pazienza (e di un vocabolario) e usufruire di questo manga senza mettere a riposo il cervello. Concentratevi e gustate ogni singola vignetta, assaporatene i dettagli e ragionate sui pensieri espressi, solo in questo modo potrete davvero apprezzare questo capolavoro, perché checché se ne dica, Appleseed è il primo passo verso ciò che sarà Ghost in the Shell, senza però essergliene inferiore.

PS. Quella che voleva essere un'analisi alla fine è diventata una sorta di recensione, il mio subconscio ha voluto così evidentemente perchè, come ho scritto all'inizio, quest'opera è sconosciuta e quindi descriverne i passaggi sarebbe stato probabilmente uno spoiler a chi avesse voluto leggerlo.

lunedì 8 luglio 2013

Marte - anno 2301 AD

Avete presente quel periodo nella vita di una persona nella quale si ha un repentino cambio della personalità? Stranamente coincidono con una serie di avvenimenti nel corpo di ognuno di noi che possono effettivamente renderci confusi su diversi argomenti. Difatti fino all'età di 16 anni circa ero proprio un ragazzino tra i peggiori, ascoltavo death metal, "trollavo" su internet e insultavo chi non la pensava come me, ero una specie di giappominkia, ma al contrario. Scommetto che buona parte della gente passa dal cosidetto periodo minkia ma è anche vero che molti se ne affezionano, io, perfortuna sono riuscito a prevalere a questo stato - che rendeva i miei neuroni comatosi - in fretta e la scintilla di speranza che mi ha permesso di - come direbbe un famoso cantante italiano - uscire dal tunnel, è stato proprio uno di quei fumetti di cui andavo (e vado tutt'ora) matto.

Il manga di cui sto parlando è - come si può dedurre dall'immagine sovrastante, dal logo e dall'url del sito stesso - ARIA di Kozue Amano, autrice di altre opere inedite qui da noi come Roman Club e Crescent Noise e che attualmente sta lavorando ad Amanchu!, serie edita in Italia da GP Publishing. Ma dato che avrò altre occasioni per parlare di questa mangaka direi di passare al succo del discorso, ovvero l'analisi del primo capitolo di questo fumetto splendido e rilassante. Come in ogni fumetto (ma anche libro), sappiamo che le prime pagine racchiudono spesso l'introduzione agli argomenti trattati, ai personaggi e soprattutto la chiave di lettura, ovvero il modello con cui dobbiamo interpretare ciò che avviene nelle vignette che scorrono sotto ai nostri occhi. Inconsciamente tutti riescono a recepire questo strumento e, di conseguenza, scegliere se un prodotto è di proprio interesse o meno; ma ciò che non è chiaro proprio a chiunque è che, grazie ad esso si può capire, almeno in parte, l'autore e il messaggio che vuole trasmettere al lettore.
In ARIA veniamo difatti introdotti sul pianeta "Aqua" tramite le parole di una sorridente giornalista che ci informa che Marte, dopo la terraformazione, si unificò alla Terra per assumere questo nuovo nome dato dalla notevole presenza di questo elemento vitale - ripreso dall'autrice anche in Amanchu! - e più precisamente nella località cardine di tutta la serie: Neo Venezia. In questa città, al contrario della controparte terrestre, la figura del gondoliere è un lavoro concesso solo ed esclusivamente al genere femminile, e queste fate dell'acqua prendono dunque il nome di Undine.
Con il susseguirsi delle vignette veniamo a conoscenza della protagonista e contemporaneamente, quasi fosse una spontanea conseguenza, il primo elemento chiave del fumetto: il sorriso.

Già dal primo capitolo potremmo accorgerci di come la Amano sia particolarmente brava a rappresentare quest'emozione in tutte le sue varianti, riuscendo a caricare ogni tavola di un fascino ed una delicatezza unica, una sorta di "marchio di fabbrica". Sfogliando si entrerà quindi nel vivo dell'episodio, in cui un anziano terrestre in visita turistica, è in cerca della figlia che ha perso di vista. Inizialmente restio ad accettare l'aiuto della giovane guida, viene poi traghettato lungo i canali della città sull'acqua, venendo a conoscenza delle meccaniche più antiquate e "meno pratiche" del luogo; in queste sequenza ci sono diverse battute che anticipano al lettore gran parte della struttura dell'intero manga, se queste verranno trascurate si potrà facilmente scadere nelle tipiche battute: "che noia, in questo fumetto non succede niente" o ancora "questo manga è monotono", che però spesso non vengono affibbiate ad altri fumetti in cui è presente un po' di azione che fa da contorno al nulla, ma stò divagando.

Sta di fatto che in questo capitolo, la protagonista Akari rappresenta il pianeta Aqua e di conseguenza l'autrice stessa, la quale, con finezza ci comunica che quest'opera non è per tutti i gusti. Neo Venezia non è una città pratica, non ti da tutto e subito come sulla Terra, è un posto in cui ci si può perdere e non vanta di una tecnologia avanzatissima (se non per qualche dispositivo indispensabile). Sappiate però che perdendosi ci si può imbattere in paronami meravigliosi e arrangiandosi si può capire e apprezzare il valore di ciò che si costruisce, in questo modo ARIA ci propone di vedere tutte le piccole cose da un'angolazione diversa, una piccola luce che si accende sotto ai nostri occhi e illumina ciò che ci circonda, riscaldandoci quasi come il tiepido fuocherello del caminetto acceso nelle notti invernali.

lunedì 1 luglio 2013

Presentazione


Buonasera ragazzi, era da un po' di tempo che mi frullava in testa l'idea di creare un blog che si rifacesse alla pagina omonima che io e un simpatico collega (che probabilmente qui non vedrete mai) gestiamo più o meno attivamente su Facebook. Sarò chiaro, non è un blog fotocopia, dato che possiedo un ghost (o perlomeno credo di averlo) e data l'assenza del compagno di avventure (?) qua dentro cercherò di inserirci tutti i pensieri che mi vengono in mente quando leggerò o vedrò qualcosa che mi piace o meno, di conseguenza i post non saranno regolari (non è detto che io pensi tutto il giorno) e non pretenderanno di essere la Verità.

Dopotutto si sa che la verità, nonostante sia di fronte agli occhi di tutti, viene distorta da quegli stessi occhi che la osservano, ebbene i miei la distorcono ancora parecchio (forse troppo, chi può dirlo) ma comunque non tanto quanto alcuni personaggi che si trovano nagivando nell'internet.
Molteplici sono le cause che modificano la mia percezione della vita, dell'universo e tutto quanto (no, non penso siano 42 comunque) tra cui in particolare la lettura di fumetti e la visione di cartoni animati e film d'animazione di stampo nipponico. Non so dire con precisione da cosa è scaturito tutto questo interesse, sta di fatto che iniziai ormai 8 anni fa guardando Naruto (quando ancora non era mainstream) e da quel momento non ho mai più smesso di seguirli (Naruto però ho smesso eh!).
Una passione che vive ardentemente nel mio cuore e che si è evoluta moltissimo nel corso di questo tempo, ma che per permettermi di dichiarare di essere un "esperto" nel settore, durerà ahimè ancora a lungo. Durante questa "carriera" ho potuto ammirare capolavori, opere buone, discrete e anche penose *coff coff*Soul eater *coff coff* ed è quindi giusto che vi dica a grandi linee i fumetti e gli anime che più mi sono piaciuti, che riassumerò per convenienza in un'immagine esplicativa:






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Per concludere voglio quindi darvi il benvenuto su questo angolo sperduto nella rete, spero che la vostra permanenza qui sia piacevole e costruttiva per tutti (compreso me).